RHCP – i’m with you

Dopo un paio di ascolti – distratto, devo ammetterlo – è quello che viene da chiedermi! Sono ancora con i rossi asteriscati? E’ un album che ancora devo digerire probabilmente o il lutto per Frusciante mi spinge ad essere ancora ipercritico ma sicuramente non siamo in presenza dell’album dell’anno.

Se di stadium arcadium l’ostinato tentativo di rimescolare i quasi trentanni di musica aveva portato comunque a brani di un certo spessore qui l’impressione che si ha è di ragazzoni troppo cresciuti che per paura di impegnarsi da adulti tendono a sperimentare – in alcuni punti un pò troppo.

Così distorsioni, suoni ruvidi e cantericci timidi di un Josh che sembra quasi il fratello minore del John che fu – sigh – accompagnano Monarchy of Roses.

Si torna invece a vecchie assonanze basso, voce e riff di chitarra in Factory of Faith, per perdersi poi in un finale molto lontano dagli outro a cui siamo abituati.

Brendan’s Death Song improvvisa un intro molto dolce che ricorda l’acustica di Navarro di un altra era senza John, la ballata prosegue senza grosse sorprese in un motivetto orecchiabile con una batteria incalzante e cori più convinti, miscelati da una chitarra anche questa più convincente e decisa.

Ancora basso e batteria ad aprire Ethiopia per dare poi spazio a voce e chitarra che alterna assoli e pennate crude. Nel finale spazio a Josh ed il suo indubbio talento per assoli che sembrano comunque ancora troppo acerbi. L’impressione finora è che sia Anthony il più convinto dei quattro in questo album!

Versi decisi, bridge e ritornello dolce accompagnano Annie Wants a Baby e qui la chitarra di Josh sembra finalmente sufficientemente calda ed amalgamata con le corde di Flea ed i battenti di Chad.

In Look Around sembra un tuffo nel passato e negli scioglilingua di Anthony se quest’album non fosse permeato di una carica adrenalinica che tende a stendere ogni canzone in un ritmo di allegria e giubilo!

The Adventures of Rain Dance Maggie non a caso deve essere stato scelto come primo singolo per l’album rispecchiando lo spirito di un lavoro con due piedi in una scarpa – o un piede in due scarpe, forse – alternando versi in pieno red hot vecchia scuola e ritornello spensierato dei rossi post-by-the-way.

L’aria leggera e il profumo d’estate che si respira in Did I Let You Know personalmente valgono tutto l’album, la chicca centrale con trombe e tamburellate non fanno che arricchire un pezzo con un Josh perfetto sia in voce che in chitarra, riuscendo a raggiungere il suo maestro senza quella vena malinconica tipica dei pezzi influenzati da John. Dieci più!

Goodbye Hooray spezza la dolcezza con un sound aggressivo ed un incalzare continuo fino al bridge dove si piega mantenendo il pezzo in tensione fino ad assoli crudissimi ed efficaci alternati dalla voce sicura di Anthony.

Quando lessi del pezzo al pianoforte non aspettavo certo un pezzo così spumeggiante, ma da un titolo come Happiness Loves Company c’era da aspettarselo 😀

Police Station potremmo considerarlo il pezzo lento dell’album, eccezion fatta per il ritornello duro e corale, con una chitarra onnipresente a muovere note nell’aria ed attraverso la rete di basso e batteria. Ancora spazio a pianoforte e brevi ma intensi intermezzi di sole note..

Even You Brutus sembra una di quelle canzoni da video pieno di gnocche abbronzatissime, ma il ritornello ripaga l’attesa con un sound sempre aggressivo e deciso ed un Anthony ancora protagonista insieme ad una grande batteria di Chad.

Meet Me in the Corner è forse il pezzo più orecchiabile dell’album ma ha da farsi perdonare il fatto di essere una grossa autocitazione ed un outro troppo breve!

Sembra che riprendere vecchie idee e rimescolarle con l’ndubbio talento fresco di Josh sia la cosa che riesca meglio in questo ritorno ed è così che chiudono con un pezzo trascinante e coinvolgente: Dance, dance, dance.

Non posso che concludere sperando in una tappa fattibile per riportare le impressioni live del nuovo album, vi lascio con una chicca 😀

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