Sogno d'estate – che il sole caldo riscalda

Tim aveva l’abitudine di percorrere quella stradina piena di ciottoli tutta dritta senza mai sterzare, infischiandosene dei fossi e delle pietre più grandi, quasi credendo di accorciare di parecchio il tragitto. Kim abitava a pochi chilometri dal posto che Tim chiamava il suo piccolo ritaglio di mondo, la sua casa. Nel percorrere quei sentieri e quelle curve continuava a fischiettare con un sorriso appena accennato i motivetti che avevano affollato la sua mente fino a qualche anno prima. Si accorse subito che sebbene fosse un po’ che mancava da quei posti incantati non aveva perso il suo spirito, ne sentiva l’appartenenza e per la prima volta fece una deviazione al tragitto abituale. Senza pensarci su la bicicletta di riflesso alla sterzata brusca si infilò tra i cespugli e sbucò in una sorta di paradiso terrestre chiamato “il circolo delle querce”. Grossi alberi si stagliavano tutto d’intorno ad un enorme spiazzale al centro del quale una enorme pietra grigia e liscia sembrava in meditazione.

Tim incredulo nel rivedere quella meraviglia naturale sfilò la bici dalle sue gambe e la lasciò cadere con un suono sordo sull’erba ancora umida. Si mosse con calma, piano, impiegando decine di secondi per piccoli passi e minuti per lente torsioni, spaventato dal buio di un sole mattutino troppo pigro per vincere gli alberi ed un cielo troppo basso a far da tappo a quel barattalo di natura. Sempre in silenzio si sdraiò ai piedi di una grossa quercia. Avvertì l’erba sotto i suoi polpacci nudi. Faceva già  caldo e quel ristoro termico non gli dispiaceva affatto. La schiena appoggiata alla quercia garantiva sicurezza, fermezza, quiete e fu allora che la vista iniziò a cedere insieme alle palpebre che gentilmente lo invitarono a schiacciare un pisolino.

Dopo lo stress dei giorni precedenti Tim aveva proprio bisogno di un po’ di riposo, non come quello della notte precedente trascorsa tra una stazione ed un’altra, adesso era a casa, davvero, di nuovo.

Luce.

Già , il sole oramai era stanco di darla vinta a quei quattro stuzzicadenti ed aveva deciso di sfruttare la fisica del sistema solare per illudere il mappamondo terrestre di avergli girato intorno di una quarantina di gradi. La fresca mattinata aveva lasciato il posto ad una giornata di pieno sole.

Tim capì in un attimo che era ora di andare, di andare da lei. Inforcò nuovamente la bici, che presa alla sprovvista non poté che obbedire, girò il busto salutando quel posto meraviglioso, ringraziò ed in un attimo era già  sulla strada verso casa di Kim.

Oramai la sua mente era sgombra di tutto, tutto quello che aveva da raccontarle, le storie, le avventure, i momenti belli e divertenti come quelli brutti e tristi avrebbero dovuto aspettare e far posto al desiderio, il desiderio di rivederla, di riabbracciare la parte più bella della sua vita.

Tim e Kim si erano conosciuti proprio al circolo della querce, erano poco più che neonati e girando gattoni intorno alla pietra finirono per darsi una testata che spesso ancora ricordano toccandosi istintivamente la fronte, accusandosi reciprocamente e ridendo a crepapelle. I loro genitori si conobbero proprio in quella circostanza, nel tentativo di calmare i due bimbi in preda ai singhiozzi. Da allora quello fu il loro nido, da lì tutto era partito come tutto era finito quando dovettero salutarsi qualche anno prima di allora.

La vista di quella casa fece fermare la bici quasi di botto e lui stesso se ne meravigliò, arretrando. Stranamente aveva paura, non si sapeva spiegare il motivo, le immagini nella sua mente sovrapposero l’oggi con l’ieri e fu così che vide loro due correre intorno a quella casa, un’abitudine che non li aveva abbandonati neanche quando gli anni iniziarono a passare in fretta. Tirò il sospiro più lungo della sua vita e si fermò sull’uscio della staccionata reggendo con un mano la bici e con l’altra accompagnando il cancelletto che per anni interi aveva varcato sotto la pioggia o con il sole alto e aveva lasciato con la luna e le stelle a salutarlo, a volte d’estate aveva finito per aprirlo solo un paio di volte la settimana xkè finiva sempre per non avere alcuna voglia di lasciare quel posto, di lasciare lei. Fermo lì, impalato, lasciò cadere lo sguardo sulla cassettina della posta, la stessa che lui anni prima aveva impiegato una intera estate ad intagliare e decorare con un bel Kim e che oramai il tempo aveva consumato quasi, facendo sentire la sua assenza. Sorrise nel notare la sua lettera, quella che avrebbe dovuto precedere la sua presenza lì, pensò che se non si fosse fermato al circolo forse avrebbe addirittura incrociato il postino, magari l’avrebbe affiancato e gli avrebbe sfilato la lettera dalla sacca con una bella linguaccia. Avrebbe atteso lei correre alla cassetta, scartare la lettera freneticamente e saltellare per il suo arrivo prossimo. Girò la lettera tra le sue dita e la rimise al suo posto, nella cassetta. Contò i passi mentre attraversava la passerella che divideva il giardino in due fette verdi, poi salì due scalini che portavano al ballatoio in legno esterno alla casa. Gli venne l’istinto di bussare, poi pensò che in vita sua non lo aveva forse mai fatto, così salì l’ultimo scalino ed eccolo lì fuori la casa che aveva frequentato per quasi quindici anni. Ebbe un attimo di esitazione, poi girò verso sinistra e svoltò l’angolo verso destra. Immobilizzato restò a guardarla per quasi venti minuti. Kim era sdraiata sul dondolo che oramai era troppo piccolo per tenerla sdraiata. Era accovacciata di lato, col busto a tre quarti verso l’alto e un cuscino tra le gambe. Il braccio destro piegato con la mano che quasi le sfiorava il viso e l’altro che seguiva il fianco supino. Era tremendamente bella sdraiata lì con quella canotta lasciata cadere addosso e quei jeans corti che le scolpivano i fianchi. La sua pelle era di un rosa d’orato d’agosto che toglie il respiro. Tim si sentì morire – era stupenda – e a farlo muovere fu solo una forza misteriosa si disse. Si sedette nel poco spazio rimasto con una mano sul bracciolo e un braccio sulla spalliera, chiuse gli occhi e pensò di svegliarla nel modo più dolce possibile. I secondi sembravano non passare mai e la distanza tra le loro labbra sembrava quasi aumentare, poi improvvisamente sparì. Di colpo le loro labbra erano pressate fortemente l’una contro l’altra e le braccia di Kim avevano stretto in una morsa il collo del ragazzo che ora la stringeva dal basso con le sue. Le labbra pian piano chetarono l’intensità  e si trasformarono nel bacio più sincero che si possa immaginare. Tim ripensò al giorno della sua partenza, quando le parole inutili fecero posto ad un bacio, il loro primo ed ultimo bacio, quel bacio li avrebbe legati per sempre, più di tante parole, di tante promesse.

Si tirarono su, in piedi, insieme senza staccarsi, lui delicatamente lasciò scivolare le mani lungo i suoi fianchi, quasi disegnandoglieli con una leggerezza che lasciava trasparire desiderio ed insicurezza, lei allentò leggermente l’abbraccio lasciandogli il collo libero di muoversi.

Al buio tutti i sensi fecero il loro mestiere, Tim riusciva a sentire il contatto con le sue cosce, con le mani le cingeva la vita e sentiva la pressione del seno sul suo petto, usava ancora lo stesso bagnoschiuma e lo stesso balsamo per quei lunghi capelli mossi e nell’assaporare quel bacio risentì lo stesso sapore del loro primo bacio.

Passarono lunghi secondi poi gli occhi si aprirono finalmente per far posto allo sguardo innamorato dei due. Tim passò una mano tra i suoi capelli e lei ne lasciò cadere una sul petto del ragazzo

Sto iniziando a prenderci gusto

Lei arrossì leggermente, poi con una voce rauca di sonno trascorso disse:

Spero solo di non dover aspettare altri… quanti? due anni? per poterti baciare di nuovo

Esattamente un anno, dieci mesi e qualche giorno. Sei sempre stata negata con i conti

Non è vero! E’ solo che non ho mai voluto accettare la consapevolezza di dover fare i conti con la tua assenza, mai e non voglio che accada di nuovo.

Passarono una giornata meravigliosa. Mangiarono al circolo, dormirono nel silenzio della natura, restarono abbracciati, uniti per ore ed ore ed i racconti e le avventure vennero messi da parte, adesso era tempo per loro, loro e basta.

Si è fatto tardi devo andare

Resta non andare

Lo sai che devo andare

Dicesti così anche allora

Ma allora non ti dissi “Ci vediamo domani”

Sorrisero e si diedero un lungo bacio che sapeva di marmellata alla fragola, poi lei scese dalla canna della bicicletta e gli diede un altro piccolo bacio sulla guancia. Mentre lei apriva il cancelletto, lui la fermò:

dì a tua madre che la crostata era eccezionale, la migliore che abbia mai mangiato in tutti questi anni…

Guarda che l’ho fatta io, per te, sapevo che oggi saresti tornato da me, lo sentivo, ti aspettavo di mattina presto come si aspetta l’alba, poi mi sono appisolata…

Lui sorrise, le accarezzò una guancia e partendo via le disse:

comunque l’ha fatta tua madre

Lei non fece a tempo a replicare, anche se avrebbe voluto, lo guardò allontanarsi a zig zag per il sentiero fino a diventare un puntino all’orizzonte immerso nel grande sole rosso al tramonto.

Era felice, finalmente felice, come appena sveglia dopo un lungo

Sogno d’estate

Che il sole caldo riscalda

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.