vengo qui quando ne ho voglia

vengo qui quando non ho voglia d’altro

mi siedo in riva alle onde, piedi nell’acqua e la mani dietro a reggermi seduto

alzo lo sguardo al sole, socchiudo le palpebre lottando con il sole

chiudo gli occhi, poi piano mi stendo

E’ lì che la sabbia mi avvolge le spalle, si insinua sul petto ed inizia come a premermi a terra

Non so quanto tempo passa ogni volta

arriva di solito il sole col suo caldo che mi prende

mi alzo, la sabbia naturalmente suicida per la gravità  lascia la mia pelle

io mi ritrovo attratto dalle onde, le mani a sfiorare l’acqua

mi lascio poi sospingere dalla corrente

e così torno dalla mia isola deserta

sentiva la voglia di salire sul primo treno, partire

sentiva la voglia di cambiare aria, almeno per un pò

aveva voglia di scrivere, per fissare il suo stato

aveva voglia di piedi nudi sulla sabbia, per cambiare il suo stato

e tanta voglia di parlare, per condividere le sue emozioni

e tanta voglia di ascoltare, per cibarsi di quelle altrui

era vivo, vegeto e sano, al punto di non ritorno o forse semplicemente alla deriva

era vivo, stanco e soddisfatto, adrenalinicamente pronto alla prossima tornata

gli importava di questo

e di nient’altro

un grazie sentito a tutti quelli ke hanno collaborato a questo… come direbbe Fab… beh lo sapete.. vvb! :p

oggi come ieri, ancora non ricordo quando è il tuo compleanno

oggi come ieri, ancora scrivo

oggi come ieri, non passa volta che passo per quella panchina che non mi siedo, sfioro con la mano dove una volta posavi la schiena e ridevi, e sorrido

oggi come ieri, ci sono io che mi sveglio alle quattro del pomeriggio intontito e barcollando mi metto a sedere

oggi come ieri, c’è ancora un pò di quella voglia di sentirsi speciali, quella voglia di scendere a qualsiasi orario con la scusa del cane

oggi come ieri, ho ancora quella immancabile dicotomia intriseca di sentirmi un bambino troppo cresciuto e un attempato vecchietto con troppa voglia di vivere

oggi come ieri, ancora ho voglia di mettermi in discussione e voglia di sentirmi libero

oggi come ieri, voglio, fortissimamente, voglio credere che i miei sogni più belli siano solo il preludio di quello che ancora deve succedere

oggi, non ieri, è il tuo compleanno

e allora?

beh,

Buon Compleanno

Con due dita lasci scorrere la carta sulla superficie liscia del tavolo

Esiti

Poi le dai solo un occhio fugace

7 di spade

Tiri un respiro

Ed osi

“carta”

Il mazziere ti elargisce la carta

10 di denari

Quel piccolo angolo sinistro di labbra si lascia scappare un leggero sorrisino

Non devi bluffare quando sei baciato dalla provvidenza

“sto bene”

Insistiamo.. lo vogliamo con tutto noi stessi ed alla fine ci riusciamo, ad andare contro natura.

Il principio geniale della corsa al baratro è proprio quello, lo scontro sembra quasi banale e dovuto tra la natura razionale ed il resto, eppure – consci – finiamo col farlo e magari ce ne compiaciamo.

Lottiamo contro il grafo del lavoro resistente dell’ordine delle cose per far sì che la nostra innata voglia di autoaffermazione vinca anche sulla Natura di cui siamo l’apocalittico seme spregiudicato del non vivere, del decidere di vivere.

Solo perchè ci sembra giusto.

Solo perchè decidiamo che lo sia, giusto.

Tutto, ogni cosa, lo accetta, mentre noi – stupidi esseri dannatamente intelligenti – finiamo come al solito per riscrivere Leggi così chiare anche alla più semplice vita dell’universo, solo per il gusto di marcarle del nostro gene malato.

Finiamo così, talvolta per etichettarla come

stupida entropia e caotica vendetta naturale.

[ho voluto scrivere questo testo per potere dare una dimensione a quello che ho dentro spesso forma non ha, chiarire e portare fuori quello che dentro cerca spazio e rivendica diritti di un’esistenza concreta e tangibile]

Questo che scrive è un vero stronzo… dentro deve averci davvero i problemi… altro che forme immateriali, questo deve essersi sparato in corpo qualcosa peggio di me..

Risulterebbe difficile pensare a cocktail peggiori di quella sera, Jordan era stato al bar sotto casa, si era ubriacato con la solita compagnia di una birra, due vodke alla pesca – le sue preferite – e qualche altra roba spacca stomaco.. uscito dal locale, non contento del calore offerto gentilmente dall’alcool aveva pensato bene di finire di scaldarsi dalla tizia del piano di sotto, la sua fan.. Una studentessa qualche anno più giovane di lui, se vogliamo chiamare differenza d’età  quella che passa tra i 21 ed i 25 anni.. Una ragazza ok, tutto studio e nessun vizio.. se non uno forse, che quelli puritani chiamano peccato.

[Tutto è iniziato con una coincidenza si direbbe, una fortunatissima coincidenza, anche se a me piace paragonarla al paradosso della farfalla che batte le ali a Tokio per le conseguenze di portata (meravigliosamente, direi) maestosa che avrebbe avuto poi nella mia vita]

Ma come si fa a leggere una merda simile, solo un mentecatto frocio leggerebbe queste fantacheccherie da mondo perfetto. Sono solo le illusioni di un povero disgraziato che non sa che cosa vuol dire vivere davvero, in questa merda, dove la mette la solitudine la desolazione, il nulla che qui c’è tutto intorno..

Mary, questo è il nome della ragazza del piano di sotto, aveva come unico vizio, peccaminoso vizio proprio Jordan.. Ne avvertiva l’odore, la presenza, ne era come stregata.. la pecorella innamorata del lupo cattivo.. Le volte sentiva il portone sbattere ed i suoi passi svelti che mangiavano le scale.. ovunque fosse nella sua piccola casa la pecorella Mary iniziava a correre a perdifiato fino alla porta… vi poggiava la schiena, aspettava di avvertirlo dietro la porta, era solo un attimo prima che inforcasse l’ultima rampa, ma lei avvertiva un brivido dietro la schiena, poi sentiva la porta chiudersi.. il rumore delle chiavi sul tavolino in vetro.. oramai distingueva addirittura il jeans e la cinta che toccavano terra e poi lui iniziava.. Imbracciava la sua fedele Fender e incominciava a fare quello per cui era nato, suonare la chitarra come il sangue scorre nelle vene.. Lei senza nemmeno farci più caso finiva puntualmente per chiudere gli occhi e tirarsi il labbro inferiore fino al punto di farlo sanguirare, seguendo con i movimenti del corpo le corde sotto le dita di Jordan, le braccia contorte contro lo stomaco, le mani che prima con remore titubante, poi decise si insinuano sotto quegli slip con piccoli cuoricini disegnati sopra.. Beh, questo è il suo piccolo peccato, ma solo noi lo sappiamo e nessuno la giudicherà  mai per questo..

[E’ singolare infatti come possa essere possibile che una farfalla grande come un aereo decida di non battere più le ali e qui da me accendersi una bellissima giornata di sole, mentre inforco i miei occhiali ed accendo il motore della mia Harley. Sembra singolare ma intanto è successo, spesso chiudo gli occhi e immagino i meccanici di quel gigante del cielo mentre un piccolo bruco attraversa la strada al boeing in aria di sfida “io un giorno volerò, ma sti tizi saranno in grado di risollevare te in aria???”]

Ma che cazzo di prefazione sarebbe questa, quanto amore, quanta sicurezza di quello che è bello e dove la poggia questo? Crede di poter controllare il mondo con le sue parole di speranza, fiducia, ma cosa crede che cambierà  nel mondo un cazzo, un fottuto cazzo, ecco..

Si diceva di quella sera.. beh Jordan, come oramai era solito fare da un pò, aveva finto di bussare alla porta sbagliata e lei come al solito aveva finto di crederci.. A lui non importava perchè succedesse, se per l’ingenuità  di quella ragazza o perchè ci stava e lo voleva lei per prima, fatto sta che come tutte le altre volte dopo due minuti erano nella sua cucina, piena di collezioni di tazzine, di ordine e di cianfrusaglie, dopo dieci erano nella sua camera da letto piena di pupazzi, di foto ma anche di tanta solitudine e dopo mezz’ora erano a terra stremati e sudati di un sesso selvaggio e meccanico. La prima volta topolino aveva dovuto chiudere gli occhi per quella violenza alla quale non era abituato, ma oramai lui, come anche winnie pooh e la renna di natale ci avevano fatto l’abitudine.

[Ho conosciuto Fanny grazie a quel battito d’ali mancato, è grazie a quello che lei è rimasta all’aereoporto e io ci sono stato spedito in sella alla mia moto per lo strano caso dell’avaria e del mancato servizio da parte dell’agenzia. Una coincidenza, una mera coincidenza o un prodotto di un caos straordinariamente puntuale e deciso]

Ma sentitelo, ci mancava solo che Cristo in persona scendesse e dicesse “figliolo questo è il mio paradiso.. toh.. te lo regalo.. te lo meriti proprio”.. che cazzo ha fatto questo per meritarselo se l’è chiesto? Come se l’è guadagnato? Cosa ha fatto di straordinario per scrivere un fottuto libro sulla felicità , gli incontri, il volersi bene.. sembra un cazzo di prete col sorriso stampato di fabbrica, ma che merda..

Quella sera avevano finito prima, l’alcool aveva fatto la sua parte e lui, come al solito, senza nemmeno guardarla, si era preso i suoi vestiti sparsi nella stanza e senza nemmeno girarsi aveva guadagnato la porta d’uscita, mormorando so la strada o qualcosa del genere. Lei ferma a terra, ancora scossa dall’atto, si era accovacciata e lentamente tirata su gli slippini, poi aveva guadagnato il letto ed abbracciato topolino. Lui aveva avvertito l’impatto del freddo della larga tromba delle scale sul petto nudo e sudato, aveva incrociato una vecchina sulla sua rampa che col marito cercavano di indovinare il buco della serratura, di ritorno dalla festa della nipotina.. Un “ma fottetevi” gli parve il giusto saluto di ritorno al loro ” ‘sera giovanotto”.. non aspettò una risposta da quei due, nè dal resto del mondò… Salì, rincasò, buttò a terra le chiavi ed i panni, corse in bagno per cercare di arginare la sua situazione fisica, sperando ke il piscio gli avrebbe levato l’alcool di dosso per farlo ragionare, ma non vi fu modo.. iniziò a vomitare, a vomitare anke l’anima.. fino a non averne nemmeno più una.. stanco cadde a terra e tutto quello che riusciva a vedere era il suo stomaco ed il pantalone tirato su alla meglio.. Era confuso, insoddisfatto ma essenzialmente incazzato nero.. Con le ultime forze espresse un ultimo desiderio e lo mise in atto.. Andò alla libreria, ne prese un libro, accese lo stereo con la sua playlist e tornò in bagno, barcollando, aprì un’anta del mobiletto, facendo cadere tutto l’interno, imprecò, iniziò a scartare a terra tra i barattoli, quelli di cui aveva bisogno, dp un paio di pasticche, finalmente trovò quello che cercava, i francobolli di LSD.. ne prese un paio e sedette appoggiato alla parete sotto il lavandino.. dall’altra stanza arrivavano le note di foo fighters, dire straits, red hot, muse, counting crows, led zeppelin, pink floyd.. era una playlist studiata proprio per quelle situazioni, per interagire con l’LSD, non durava tutto il tempo ma dava il meglio di se dopo tre quarti d’ora quando l’LSD iniziava a produrre i primi effetti allucinogeni..

[Quando la prima volta ho incrociato il suo sguardo è stato un attimo.. poi come d’incanto il mondo è diventato in bianco e nero e l’unico colore visibile ai miei occhi era quello dei suoi…]

Jordan non aggiunse altro, smise di leggere ed il libro scivolò tra le sue gambe divaricate, lasciando in alto la sua copertina con il nome Jordan Moore stampato in bella vista ed il suo sorriso che lo imortalava in un originale specchio amorfo alla caccia del ghigno distorto nell’altro.. Jordan chiuse gli occhi ed iniziò a fissare il suo braccio, gli infiniti segni di tentativi di passare a miglior vita, poi il soffitto in attesa dell’arrivo dell’amica LSD, del suo trip; spesso pensava all’originale nome dato alla segale colpita dal parassita ergot dal quale si ottiene l’LSD, la chiamano segalae cornuta.. quando l’aveva saputo aveva ritenuto inopportuno il termine xkè vedeva l’LSD come una dolce amante non come una moglie infedele.. Sotto Matt inizia a stridere col suo Time is Running out.. impassibile, Jordan riflette:

gia

Jordan assumeva LSD, glielo avevano prescritto, già , proprio così.. il suo medico lo aveva salvato così, era un suo fan, non avrebbe mai permesso che il suo genio fosse posseduto dalla morfina o dall’eroina e così preferì curarlo con l’LSD, già , proprio così, curarlo..

mi manchi

Fanny era morta in un incidente stradale.. il giorno della pubblicazione del libro (con annesso) album Butterfly&Hurricane.. Il caso volle che lui quel successo mondiale dovuto a quell’amore ke aveva dato vita ad un morto, a quella gioia di vivere, a tutti quei sani motivi e principi che animavano il libro e quelle note dolci che accompagnavano l’album non se lo potè mai godere.. perchè quel giorno, quel Jordan morì e l’obiettivo era di eliminare anche l’involucro..

eccomi

l’LSD lo aveva salvato ed anke il professor Gillian che aveva preso in cura Jordan per dedizione alla passione per l’uomo che nascondeva quel fisico debilitato che aveva incontrato per la prima volta tre anni prima.. Insomma un cammino nell’ignoto alla caccia del Jordan che non c’era e di quel mondo che lo aveva salvato prima e condannato poi.. Il lavoro più difficile era riuscire a canalizzare le esperienze emotive per rendere possibile il recupero graduale del passato e la stabilizzazione di un equilibrio definitivo.

Alla fine LSD arriva.. Jordan era informatissimo sui ritorni d’acido ed i bad trip.. ma ne valeva la pena, non lo spaventavano i dolori, i crampi, le tensioni muscolari a cui andava soggetto, tutto quello che voleva era l’ego loss, la perdita dell’io ed in quel limbo il ritrovarsi in quell’io che lui più non era.

Alla fine LSD arriva.. il passaggio è morbido, ma ad un certo punto è come fare un piccolo salto ed è fatto… in quelle mille allucinazioni e nella vista offuscata e psichedelica d’un tratto.. gli ultimi ricordi di Jordan furono un laconico ed affranto Matt che quasi incredulo, gli rimandava beffardo un..

.. and i feeling good

Sono piccine e cercano, cercano, sono smaniose, nei bimbi c’è un’ipercuriosità  tattile.. hanno sete di superici ruvide e lisce, di calore e freddo, di tutto quello che le dita possano scorrervi sopra ed ottenerne in cambio impulsi da sparare nel cervello. Sono piccole e gonfie, tozze, sottili e fragili, piccoli involucri di tenerezza, biscottini di dolcezza. Cercano il seno della madre, si poggiano ad un volto con una saggezza di chi ha in sè il senso vergine della vita e ne fa dono agli altri.

Crescono, si fanno piene di fango, premono sul pavimento, fanno tesoro di microbi e batteri, di marmellata e nutella, impugnano matite e cucchiai come strumento di creatività  su foglio e su pareti.. cercano poi di nascondere la timidezza comprendo un sorriso dolce che solo i bimbi possono osare.

Le vedi spesso intrecciare e salde e non lo penseresti mai, se pensi che quei bimbi che si stagliano in quel pomeriggio in riva al mare hanno sì e no tre anni, eppure è la forma di amore più semplice ed immediata, si incontrano si legano ed un legame è formato e compiuto.

Si perdono col tempo quelle mani.. come se avessero altro da fare.. costruiscono oggetti, realizzano sogni talvolta, scrivono tanto o le volte preferiscono soltanto sfregare degli occhi stanchi di troppa solitudine.

Riacquistano peso quando arricchiscono un bacio di quell’essenza misteriosa che ha il sapore di brivido quando scorrono due braccia alla ricerca dei loro simili.. li trovano.. li avvolgono.. si abbracciano in un piccolo segno di unione.. poi vengono ricambiati da un palmo destato dalla sua inerzia verticale per poi iniziare un rito tribale in cui le dita danzano e si avvolgono in una specie di amalgama di carne ed emozione.

Sono lì che si trovano nel buio, quando abbiamo paura, lì che si stringono, quando cerchiamo riparo dalla sofferenza, lì che si desiderano, quando sentono sotto di loro le lenzuala e piano arrivano dove appagare il loro irrefrenabile istinto di affetto.

Sono piene di pieghe quelle di due anziani alla panchina, ma nn diresti mai che sono stanche di stringersi e tenersi, come fanno di due anziani che della vita in quella silenziosa, armoniosa e perfetta stretta rivivono e continuano a far vivere l’amore di una vita. Si alzano i due dalla panchina, si tengono sempre per mano, si aiutano con quelle libere, lui impugna il bastone da passeggio, lei si risistema con un gesto che è diventato tutt’uno con lei la borsetta.

Li vedi allontanarsi all’orizzonte e sorridi.. poi butti l’occhio alla tua mano sulla panchina e quella a pochi centimetri da te, un’altra… lo senti l’impulso dentro.. anzi no.. è sul braccio.. dentro la spalla… nell’avambraccio tira da farti male.. e quando arriva alle dita è la fine.. la vedi muoversi e ti arrendi.. l’altra mano non sembra stupita e si annoda con la tua con la dolcezza del miele.. vedi che un sorriso in uno sgardo che non si sposta dal suo osservare innanzi si dipinge lentamente ma sicuro, anzi non lo vedi lo avverti, allora capisci
lo sai anke tu, oramai…

sono sempre e solo..
mani che cercano altre mani..

La vita è bella!

Spesso bisogna ricordarselo oppure dovrebbe esserci qualcuno a ricordarcelo… magari con un “ricordati che devi morire!”

Due grandi che in ottiche diverse hanno sottolineato una questione importante, in modo più o meno esplicito.

Povero Massimo, se sapesse che c’è gente che non si “appunta” che prima o poi “passa l’angelo e dice: amen!”

E Roberto poi? Uno dei pochi che nei suoi film riesce a fotterti! Ho visto solo due volte il film, per mia scelta. Non mi capita spesso di bloccarmi completamente su un finale, neanche sul più tragico… ma la vita è così… è bella! =)

Ripensando a quelle scene penso a me… al mio babbo… alla mia vita, piccolo grande centro di concentramento (o di sterminio, che differenza fa!)

_K_ dice che la nostra funzione primaria è il pensiero, ma come mio solito non sono d’accordo con lui

I pensieri sono il nostro problema! Quando eravamo in fasce eravamo retti dall’istinto e dalla necessità  e non dai pensieri… questi ci contaminano, ci rendono malati e quindi noi stiamo male, ci sentiamo delusi e frustrati ed ogni giorno il mondo sembra collassarci addosso, sempre di più

Sgravati dagli impedimenti di un passato barbaro ci sentiamo liberi di accanirci su problemi spirituali, facciamo voli pindarici, andiamo sulla Luna nel weekend e poi non siamo capaci di guardare negli occhi chi ci è accanto o non troviamo le risorse per andare avanti, almeno una volta

Perché la vita è bella… ma è anche breve… forse è bella anche per questo! Io dovrei saperlo…

Forse dovremmo avere il coraggio di guardare dentro di noi, cercare la Forza… un po’ come quella di G. Lucas ma non a livello di spostare massi e navicelle interstellari (però magari potrebbe essere utile per un telecomando quando è lontano dal divano =) )

Insomma per me è questa la funzione primaria i noi uomini, carne ed anima, che la si chiami Forza, Fede, Amore, Amicizia (perché no!?) l’importante è non lasciarla andare via, impugnarla e tenere duro… questo significa essere umani… cadere e rialzarsi e non non cadere mai!

…

…

Vi lascio, con la speranza che così come Massimo se ne è andato col sorriso, così come Roberto ha lasciato a Giosuè il vero seme della vita (bella) (e G. Lucas ha fatto un sacco di soldi con un nano verde che sposta roba dalla melma)… così possa la mia vita aver fatto crescere una piccola piantina in una distesa arida desertica… così come mio padre fece con me… … …

“sorrise per un’ultima interminabile volta, poi chiuse gli occhi. Ripensò a quanto ci sia ancora da vivere anche a 90 anni suonati, perché ne vale sempre la pena. Era la sua seconda vita. La prima era finita troppo presto. La seconda era stata impegnativa ma… bella. Per la terza decise di riposarsi prima un po’. “

bip. bip. biiip…

a chi ancora deve svegliarsi dalla “nuttata”… fatelo presto… la vita è bella. Parola di un fantasma.

_M_

Dall’alto dovremmo sembrare tanti piccoli puntini scuri in una macchia scura a tratti chiazzata del grigio scuro di queste pietre asfaltatrici.. ke folla.. ordinata, ma che folla..

Dall’alto della piazza ripiovono note di giri blues lanciate abilmente dal giocoliere delle corde.. sono dolci, semplici, a tratti forse tristi anke, ma sono lì vittime dell’aritmia della scala pentatonica cromata..

Sento mille voci intorno a me, coretti, voci stonate.. sorrido..

Sento abbracci intorno a me e mi lascio andare alle note di un altro canzoniere pieno di vita compressa e magica.. viene da lontano.. poi è lì al tuo fianco.. ti circonda e ti prende..

Sono momenti così unici ke spesso sembrano svanire nel tempo perchè troppo lontani tra loro per dargli una concreta collocazione reale.. l’aria sembra intangibile allora quando ritornano e quasi non c’è bisogno di respirare perchè il tempo si contrae di colpo per poi rilassarsi eternamente in un lungo interminabile istante..

Non sento più l’alito dei Demoni alle mie spalle.. loro qui nn vivono.. è un luogo sacro dove c’è tempo e spazio solo per l’essenza, le anime dannate restano fuori a guardare, con gli artigli lerci ke stringono con forza le sbarre senza colore..

Anche io non sono dentro mi limito a guardare dall’uscio, mezzo Demone e mezzo Angelo ke non sono altro, è una condizione da privilegiato dicono, da dannato dico..

La folla è andata via restano solo loro due.. poi anke lui va via.. e c’è spazio e tempo solo per noi.. sicuro di me entro sorridente e ricambiato..

Dura poco.. l’immagine sfoca lentamente ed il mondo perde il bianco con i colori naturali.. qualcuno mi ha visto, qualcuno mi ha notato e riportato indietro..

Mentre un leggero velo sfiora i miei occhi ed il mio sguardo scappa a quello indagatore e quasi ipnotizzato dalla mia trance sento ancora la sua mano poggiata alla mia spalla, guardo lui rimasto solo incredulo nella realtà , la musica che piano ritorna e copre le ultime parole di un dolce promemoria..

“.. per sempre”

Anche quel Natale eravamo tutti nel tepore e raccolti intorno alla nonna, avvolti nelle coperte e scaldati dai nostri stessi corpi. Per quanto i nostri genitori si sforzassero a fingere e continuare in quella sceneggiata, sapevamo benissimo, anche se la somma delle nostre età  non superava il mezzo secolo, che quella facciata di amore e felicità  nascondeva incomprensioni e scoraggianti realtà . Ciò nonostante apprezzammo con il tempo il tentativo di dare a noi la possibilità  di imparare dai loro stessi errori, di evitare che gli sbagli si ripetessero nel tempo, ritornassero come i fantasmi di un passato incancellabile.. Insomma, anche se tra i nostri genitori non scorreva sempre buon sangue, anche se fraterno, loro erano sempre dell’idea che passare le feste insieme fosse un buon modo per farci crescere decentemente, ignorando tutti i problemi, come fossimo cechi..

Fatto sta che ogni Natale eravamo sempre lì attorno alla nonna ad ascoltare le storie che era solita raccontare, fu così anche quel Natale. Come sempre, caricava di trasporto ed emozione ogni singola parola, era bello seguire quelle sue parole chiudendo gli occhi e immaginando i paesaggi incantati, gli elfi, le renne, tutti quei doni, quella gioia, quell’amore inimmaginabile per la vita.

La magia si interrompeva quando la nonna, stremata dallo sforzo di ore di fiumi di racconti, recitava il finale con un briciolo di tristezza, con lo sguardo di chi passa il testimone a chi giunge dopo di sé, e passando la mano sull’enorme librone di favole che mai una volta vedemmo aprirgli, ci fissava uno ad uno, ci amava e con quelle braccia sempre troppo piccole si sforzava a raccoglierci sul suo grembo. Cinque bambini che come ipnotizzati scalano sul divano, composti, e si accovacciano come i cuccioli e la gatta, teneri, indimenticabili attimi che mai dimenticheremo. Una ninna nanna senza note chiamata amore ci avvolgeva e ci addormentava. Aspettavamo quel momento tutto un anno con gli occhi di chi è troppo amato e tutta una notte su quel tappeto con il cuore in mano di chi troppo ama.

Quella indimenticabile notte accade però qualcosa di improvviso ed inaspettato…

Oh oh oh.. Buon NATALE, bambini!

La voce proveniva da fuori, oltre le montagne. Guardammo la nonna, dormiva e sorrideva, come se fosse lei a tessere le tele di quell’ennesima storia meravigliosa, quella delle nostre anime. Tutti sentimmo dentro di noi una voce che ci spinse ad attaccarci alle finestre. Le nostre mani si schiacciarono ai vetri come i nostri volti. Ancora una volta quella voce: “non abbiate paura, andate, non lasciate un vetro freddo tra voi ed il mondo, mai, sognate e amate, come io ho amato voi con tutta me stessa”, la nonna dormiva, credemmo.

Increduli uscimmo fuori, al freddo di quel Dicembre, e lo vedemmo allontanarsi. Fu questione di un attimo, poi corremmo, corremmo a perdi fiato, prima sotto l’enorme coperta poi liberi, mano nella mano fin sopra la collina di neve, nella quale affondavano i nostri piedi nudi, fuori dai pigiami colorati. Fu allora che ci fermammo e lo guardammo passare davanti alla luna. Il gesto più semplice fu salutarlo con la mano.

Rientrammo dopo poco, quando realizzammo che forse quel freddo non era sopportabile in eterno. Eravamo pieni di gioia quando rincasammo e ritornammo sotto la coperta. Sul divano la nonna non c’era più. Non eravamo tristi, stranamente, lo ritenemmo quasi naturale. Era rimasto solo il librone, curiosi, lo sfogliammo per molto tempo e con sorpresa ci rendemmo conto che in quel libro non c’era traccia di quelle storie e di quei mondi, ma che forse furono solo frutto di una povera sognatrice. Ci sembrò di sentire l’odore dei biscotti, ci credemmo e ci girammo ed era lì sull’uscio con il vassoio in mano. Ci attaccammo alle sue gambe con tutta la forza che avevamo e rimanemmo così, intorno alla donna che ci aveva insegnato a vivere.

A distanza di anni amiamo vederci disinteressatamente, mangiare insieme, incuranti dei nostri errori e dei nostri sbagli, ma solo per il piacere di amarci.. di ritrovare una parentesi serena in questa vita frenetica nel ricordo di allora.. i nostri bambini giocano insieme sul tappeto e noi con loro.. Adesso sappiamo perché la nonna ci ama tanto.

Spesso ridiamo dei nostri bambini quando, con la nostra stessa curiosità , approfittando della pausa per i biscotti, interrogano con lo sguardo quel libro incustodito…

A Chià , Ciora, Tony e Fabbro per avermi fatto vivere una favola

Con amore, Luca

Dal primo momento.Io ero lì incredulo di averti tra le mie braccia.Infantile come la mia età , ho imparato timidamente, come si impara ad amare.

Perché per me sei sempre stata una donna, era così mi avevano insegnato a fare, a trattarti come tale ed è stato forse l’unico vero insegnamento, l’unico elemento estraneo a noi due.

Il resto lo abbiamo tirato fuori da soli, te ed io, intimamente, di nascosto, felici di averci ed assaporando tutti i momenti.

Come si impara a baciare la prima ragazza e come si impara a conoscerla, così le mie mani su di te si sono fatte sempre più sicure e tu sensuale come sempre ti vibravi nell’aria, ti spandevi sinuosa e soave ti muovevi.

Che mi muovessi veloce, con forza o ti accarezzassi dolcemente tu eri sempre pronta a ricevere e darmi in cambio.

Sei stata la mia compagna di mille momenti ed io non lo avrei mai immaginato, nello sconforto e nella delusione tu eri sempre lì ad accompagnarmi.

Goffi nei momenti divertenti, ci siamo sempre rimboccati le maniche e adesso siam qui comunque, oltre qualsiasi limite.

A distanza di anni per me sembra sempre la prima volta quando ti guardo, ti stringo e ti porto con me, nelle mie peregrinazioni fisiche e spirituali, e non riesco mai a staccarmi da te.

Come una vecchia coppia spesso litighiamo, ma poi subito facciamo pace ed è tutto come prima.

Continui come sempre ad essere avida di me e sempre, instancabile ti muovi nell’aria solo per me.

Tim aveva l’abitudine di percorrere quella stradina piena di ciottoli tutta dritta senza mai sterzare, infischiandosene dei fossi e delle pietre più grandi, quasi credendo di accorciare di parecchio il tragitto. Kim abitava a pochi chilometri dal posto che Tim chiamava il suo piccolo ritaglio di mondo, la sua casa. Nel percorrere quei sentieri e quelle curve continuava a fischiettare con un sorriso appena accennato i motivetti che avevano affollato la sua mente fino a qualche anno prima. Si accorse subito che sebbene fosse un po’ che mancava da quei posti incantati non aveva perso il suo spirito, ne sentiva l’appartenenza e per la prima volta fece una deviazione al tragitto abituale. Senza pensarci su la bicicletta di riflesso alla sterzata brusca si infilò tra i cespugli e sbucò in una sorta di paradiso terrestre chiamato “il circolo delle querce”. Grossi alberi si stagliavano tutto d’intorno ad un enorme spiazzale al centro del quale una enorme pietra grigia e liscia sembrava in meditazione.

Tim incredulo nel rivedere quella meraviglia naturale sfilò la bici dalle sue gambe e la lasciò cadere con un suono sordo sull’erba ancora umida. Si mosse con calma, piano, impiegando decine di secondi per piccoli passi e minuti per lente torsioni, spaventato dal buio di un sole mattutino troppo pigro per vincere gli alberi ed un cielo troppo basso a far da tappo a quel barattalo di natura. Sempre in silenzio si sdraiò ai piedi di una grossa quercia. Avvertì l’erba sotto i suoi polpacci nudi. Faceva già  caldo e quel ristoro termico non gli dispiaceva affatto. La schiena appoggiata alla quercia garantiva sicurezza, fermezza, quiete e fu allora che la vista iniziò a cedere insieme alle palpebre che gentilmente lo invitarono a schiacciare un pisolino.

Dopo lo stress dei giorni precedenti Tim aveva proprio bisogno di un po’ di riposo, non come quello della notte precedente trascorsa tra una stazione ed un’altra, adesso era a casa, davvero, di nuovo.

Luce.

Già , il sole oramai era stanco di darla vinta a quei quattro stuzzicadenti ed aveva deciso di sfruttare la fisica del sistema solare per illudere il mappamondo terrestre di avergli girato intorno di una quarantina di gradi. La fresca mattinata aveva lasciato il posto ad una giornata di pieno sole.

Tim capì in un attimo che era ora di andare, di andare da lei. Inforcò nuovamente la bici, che presa alla sprovvista non poté che obbedire, girò il busto salutando quel posto meraviglioso, ringraziò ed in un attimo era già  sulla strada verso casa di Kim.

Oramai la sua mente era sgombra di tutto, tutto quello che aveva da raccontarle, le storie, le avventure, i momenti belli e divertenti come quelli brutti e tristi avrebbero dovuto aspettare e far posto al desiderio, il desiderio di rivederla, di riabbracciare la parte più bella della sua vita.

Tim e Kim si erano conosciuti proprio al circolo della querce, erano poco più che neonati e girando gattoni intorno alla pietra finirono per darsi una testata che spesso ancora ricordano toccandosi istintivamente la fronte, accusandosi reciprocamente e ridendo a crepapelle. I loro genitori si conobbero proprio in quella circostanza, nel tentativo di calmare i due bimbi in preda ai singhiozzi. Da allora quello fu il loro nido, da lì tutto era partito come tutto era finito quando dovettero salutarsi qualche anno prima di allora.

La vista di quella casa fece fermare la bici quasi di botto e lui stesso se ne meravigliò, arretrando. Stranamente aveva paura, non si sapeva spiegare il motivo, le immagini nella sua mente sovrapposero l’oggi con l’ieri e fu così che vide loro due correre intorno a quella casa, un’abitudine che non li aveva abbandonati neanche quando gli anni iniziarono a passare in fretta. Tirò il sospiro più lungo della sua vita e si fermò sull’uscio della staccionata reggendo con un mano la bici e con l’altra accompagnando il cancelletto che per anni interi aveva varcato sotto la pioggia o con il sole alto e aveva lasciato con la luna e le stelle a salutarlo, a volte d’estate aveva finito per aprirlo solo un paio di volte la settimana xkè finiva sempre per non avere alcuna voglia di lasciare quel posto, di lasciare lei. Fermo lì, impalato, lasciò cadere lo sguardo sulla cassettina della posta, la stessa che lui anni prima aveva impiegato una intera estate ad intagliare e decorare con un bel Kim e che oramai il tempo aveva consumato quasi, facendo sentire la sua assenza. Sorrise nel notare la sua lettera, quella che avrebbe dovuto precedere la sua presenza lì, pensò che se non si fosse fermato al circolo forse avrebbe addirittura incrociato il postino, magari l’avrebbe affiancato e gli avrebbe sfilato la lettera dalla sacca con una bella linguaccia. Avrebbe atteso lei correre alla cassetta, scartare la lettera freneticamente e saltellare per il suo arrivo prossimo. Girò la lettera tra le sue dita e la rimise al suo posto, nella cassetta. Contò i passi mentre attraversava la passerella che divideva il giardino in due fette verdi, poi salì due scalini che portavano al ballatoio in legno esterno alla casa. Gli venne l’istinto di bussare, poi pensò che in vita sua non lo aveva forse mai fatto, così salì l’ultimo scalino ed eccolo lì fuori la casa che aveva frequentato per quasi quindici anni. Ebbe un attimo di esitazione, poi girò verso sinistra e svoltò l’angolo verso destra. Immobilizzato restò a guardarla per quasi venti minuti. Kim era sdraiata sul dondolo che oramai era troppo piccolo per tenerla sdraiata. Era accovacciata di lato, col busto a tre quarti verso l’alto e un cuscino tra le gambe. Il braccio destro piegato con la mano che quasi le sfiorava il viso e l’altro che seguiva il fianco supino. Era tremendamente bella sdraiata lì con quella canotta lasciata cadere addosso e quei jeans corti che le scolpivano i fianchi. La sua pelle era di un rosa d’orato d’agosto che toglie il respiro. Tim si sentì morire – era stupenda – e a farlo muovere fu solo una forza misteriosa si disse. Si sedette nel poco spazio rimasto con una mano sul bracciolo e un braccio sulla spalliera, chiuse gli occhi e pensò di svegliarla nel modo più dolce possibile. I secondi sembravano non passare mai e la distanza tra le loro labbra sembrava quasi aumentare, poi improvvisamente sparì. Di colpo le loro labbra erano pressate fortemente l’una contro l’altra e le braccia di Kim avevano stretto in una morsa il collo del ragazzo che ora la stringeva dal basso con le sue. Le labbra pian piano chetarono l’intensità  e si trasformarono nel bacio più sincero che si possa immaginare. Tim ripensò al giorno della sua partenza, quando le parole inutili fecero posto ad un bacio, il loro primo ed ultimo bacio, quel bacio li avrebbe legati per sempre, più di tante parole, di tante promesse.

Si tirarono su, in piedi, insieme senza staccarsi, lui delicatamente lasciò scivolare le mani lungo i suoi fianchi, quasi disegnandoglieli con una leggerezza che lasciava trasparire desiderio ed insicurezza, lei allentò leggermente l’abbraccio lasciandogli il collo libero di muoversi.

Al buio tutti i sensi fecero il loro mestiere, Tim riusciva a sentire il contatto con le sue cosce, con le mani le cingeva la vita e sentiva la pressione del seno sul suo petto, usava ancora lo stesso bagnoschiuma e lo stesso balsamo per quei lunghi capelli mossi e nell’assaporare quel bacio risentì lo stesso sapore del loro primo bacio.

Passarono lunghi secondi poi gli occhi si aprirono finalmente per far posto allo sguardo innamorato dei due. Tim passò una mano tra i suoi capelli e lei ne lasciò cadere una sul petto del ragazzo

Sto iniziando a prenderci gusto

Lei arrossì leggermente, poi con una voce rauca di sonno trascorso disse:

Spero solo di non dover aspettare altri… quanti? due anni? per poterti baciare di nuovo

Esattamente un anno, dieci mesi e qualche giorno. Sei sempre stata negata con i conti

Non è vero! E’ solo che non ho mai voluto accettare la consapevolezza di dover fare i conti con la tua assenza, mai e non voglio che accada di nuovo.

Passarono una giornata meravigliosa. Mangiarono al circolo, dormirono nel silenzio della natura, restarono abbracciati, uniti per ore ed ore ed i racconti e le avventure vennero messi da parte, adesso era tempo per loro, loro e basta.

Si è fatto tardi devo andare

Resta non andare

Lo sai che devo andare

Dicesti così anche allora

Ma allora non ti dissi “Ci vediamo domani”

Sorrisero e si diedero un lungo bacio che sapeva di marmellata alla fragola, poi lei scese dalla canna della bicicletta e gli diede un altro piccolo bacio sulla guancia. Mentre lei apriva il cancelletto, lui la fermò:

dì a tua madre che la crostata era eccezionale, la migliore che abbia mai mangiato in tutti questi anni…

Guarda che l’ho fatta io, per te, sapevo che oggi saresti tornato da me, lo sentivo, ti aspettavo di mattina presto come si aspetta l’alba, poi mi sono appisolata…

Lui sorrise, le accarezzò una guancia e partendo via le disse:

comunque l’ha fatta tua madre

Lei non fece a tempo a replicare, anche se avrebbe voluto, lo guardò allontanarsi a zig zag per il sentiero fino a diventare un puntino all’orizzonte immerso nel grande sole rosso al tramonto.

Era felice, finalmente felice, come appena sveglia dopo un lungo

Sogno d’estate

Che il sole caldo riscalda

A volte mi chiedo se essere al suo posto renderebbe le cose più semplici. Tutto più semplice. Al posto tuo saprei cosa fare? Accetterei la realtà ? L’affronterei? Ne fuggirei? O semplicemente non riuscirei a distinguerla?Chiacchiere, inutili crucci mentali. Intanto adesso te sei qui dinanzi a me e mi chiedi una risposta, un cammino da seguire, una cura come quella che ci prescrive il medico in questi periodi freddi per un banale raffreddore.

cosa vuoi che ti dica? Devi prendere una decisione, devi sentirla e seguirla, ovunque essa ti porti!

Non so cosa fare, Luca. Sono molto confuso

Lui non sa che fare ed io? Come faccio a sapere cosa sia più giusto per lui, se lui stesso non ha la benché minima idea su come comportarsi. Ci vorrebbe almeno un punto iniziale dal quale muoversi… Ma vedi che situazione. Sta così male ed io non so cosa fare. Quello che più mi spaventa è la sua passività , l’incapacità  di muovesi in una direzione, qualsiasi essa sia.

…

Inizio a sentire freddo e sebbene la tettoia del portoncino ci ripari dalla pioggia, avverto come una sensazione di bagnato quando guardo le grandi gocce accrescere le pozzanghere a pochi passi da noi.

Dovresti trovare il modo di capire.. di capire se ne vale davvero la pena..

Per cosa?

Per star così male! Sono anni che ti conosciamo e negli ultimi mesi sei completamente cambiato, sembri un’altra persona, non ti riconosco più.

Questo lo so, me ne sono accorto ed è per questo che mi sento ancora più giù. Non vedo sbocco alla mia situazione, capisci Lù, cosa voglio dire.

L’immagine che ho nella mente è molto chiara. Un tipo fa del parapendio e si dimentica il paracadute. Sembrerà  buffo ma è così. Subito dopo il tuffo nel vuoto c’è tutto. L’ebbrezza, entusiasmo, l’adrenalina. Una sensazione incredibile. Sembra quasi che il corpo abbia abbandonato la sua parte materiale e l’anima abbia finalmente riscattato la sua ragione d’esistere.

La paura, il terrore, il panico subentreranno solo successivamente, alla fine, quando sarà  troppo tardi.

Sì è così che deve essere andata. All’inizio le cose andavano bene, erano felici, una bella coppia, da invidiare. Adesso non diresti mai di avere di fronte quella stessa persona, un fantasma, un’ombra che respira solo per ritrovare una dimensione reale.

Esiste una parola, una frase, qualsiasi cosa da poter dire ad un uomo distrutto dall’amore? Avrebbe senso? Qualsiasi cosa apparirebbe banale, insensata, priva di sostegno emotivo.

Va da lei, spaccati il petto e fai in modo che non sia mai sazia di cibarsi del tuo amore..

– Sì.. forse può andare bene come frase, adesso non mi resta che trovare il momento giusto…

Perché mi guarda così? Non lo avrò mica detto sul serio?

Hai ragione!

Cosa!?

Farò così, come hai detto. Lo farò adesso!

Incredulo, con uno spirito che non gli vedevo addosso da tempo, lo guardo coprirsi alla meglio e correre sotto la pioggia. Guardo sulle scale e spontaneo è il mio:

Hai dimenticato il paracadute…ehm…l’ombrello…

Stranito da quel lapsus e dal sole che fa capolino tra le nubi, aggiusto il berretto e lo seguo in questa giornata uggiosa…